martedì 29 ottobre 2013

ខ្មែរក្រហម Khmer Kraham: genesi e disfatta

Il Sud-Est asiatico degli anni sessanta, come molti ricorderanno, era travagliato dal conflitto del Vietnam. La Cambogia costituiva per i vietcong la base ideale da dove partire per tormentare le retroguardie del Sud del Vietnam nel Delta del Mekong. Annidatisi in territorio cambogiano a metà di quel decennio, le truppe comuniste del Nord Vietnam ebbero mano libera per diverso tempo a causa dello scarso peso dell’esercito cambogiano. Con l’intensificarsi del conflitto tra Vietnam e Stati Uniti, la Cambogia si trovò stretta tra due fuochi. Da una parte la presenza militare di Hanoi impediva di seguire appieno le direttive statunitensi, dall’altra le pressioni economiche americane rischiavano di strangolare la debole economia del paese asiatico. Tra le due soluzioni Sihanouk decise di mantenere una condotta e non si scontrasse né con lo scomodo vicino né con la super potenza mondiale. Denunciò la presenza dei Vietcong nel suo paese, ma non si attivò mai per scacciarli.

Figura dominante al loro interno era Pol Pot, il cui vero nome, Saloth Sar, rimase a lungo un segreto. Per non correre il rischio di affrettare i tempi dell’esposizione, bisogna ricordare che Sihanouk si batté a lungo contro i Khmer Rossi quando ancora era al potere, ma una volta spodestato riconobbe da buon uomo di stato che l’interesse contingente veniva prima delle convinzioni politiche. Egli affermò “per me il nemico principale è l’imperialismo americano e il fascismo di Lon Nol; il nemico secondario sono i comunisti. Conclusione, scelgo di stare col nemico secondario per sconfiggere il nemico principale… I Khmer Rossi non mi amano affatto, mi tengono con loro perché senza di me non avrebbero i contadini e una rivoluzione in Cambogia non si fa senza i contadini. Una volta vinta la rivoluzione mi sputeranno come il nocciolo di una ciliegia.” La sua lucida disamina dei fatti si sarebbe avverata in ogni particolare. Commise solo un errore che però si sarebbe rivelato gravissimo. Il re auspicava l’avvento del comunismo nel paese perché a suo dire la rivoluzione proletaria aveva avuto successo nelle zone già liberate e piuttosto che vedere una riedizione delle Filippine di Marcos e della Corea di Kim, preferiva una nazione agraria e indipendente.L’ascesa dei Khmer non fu immediata.

Nel 1973, mentre si stavano già tenendo i colloqui di pace tra Kissinger e Le Duc Tho per il rimpatrio del contingente americano, gli Stati Uniti invasero la Cambogia all’inseguimento dei Vietcong. Lon Nol diede pieno appoggio all’operazione, inimicandosi tutti gli strati più bassi della popolazione. L’efficacia dell’attacco fu pressoché nulla. I Vietcong adottarono una tecnica molto semplice ritirandosi in buon ordine nella giungla già occupata dai Khmer, fermando le loro operazioni fino a che la calma non fosse tornata. Essa non tardò a lungo in quanto la firma della pace tra Vietnam e Stati Uniti rese inutile la prosecuzione degli scontri sul territorio cambogiano. Finita la guerra le truppe irregolari del Vietnam del Nord fecero ritorno nel loro paese, lasciando in un’apparente calma la Kampuchea. Gli anni che vanno dal 1973 al 1975 sono caratterizzati dal lento progredire verso Phnom Penh, la capitale, delle squadre ribelli. Si arrivò al punto che solo la capitale rimase in mano al governo di Lon Nol e solo grazie alla grande campagna di bombardamenti posti in essere dagli Stati Uniti che ancora vedevano l’avanzata del comunismo in Indocina come una minaccia dei loro interessi. Ritiratisi completamente nel 1975 dal Vietnam, l’amministrazione americana non ebbe tuttavia più modo di giustificare le spese per il mantenimento operativo degli squadroni di bombardieri in Cambogia. Venuto meno l’aiuto del potente alleato occidentale, declinò anche la stella di Lon Nol che il 1 Aprile 1975 riuscì miracolosamente a fuggire alle Hawaii, lasciando Phnom Penh ai Khmer che vi entrarono il 17 dello stesso mese.



Vittoriosi su tutto il campo, i rappresentanti del comunismo si dovevano ora cimentare col governo del paese. Innanzi tutto c’era la questione di Sihanouk. Si doveva tenere fede ai patti e spartire con lui il potere o si poteva eliminarlo e farne a meno? Le parole del re sul suo ascendente sui contadini erano purtroppo vere e sfortunatamente per i Khmer, essi dovettero cedere all’idea di nominarlo presidente della Repubblica Cambogiana. L’investitura così ricevuta resse solo formalmente e per poco meno di un anno. Sihanouk, in effetti, era prigioniero dei suoi stessi alleati che già avevano cominciato i preparativi per uno dei più grandi massacri di massa che la storia ricordi. I metodi del regime comunista rimasero per diversi anni nascosti all’opinione pubblica in conseguenza dell’isolamento in cui i Khmer costrinsero la Cambogia.

La prima manovalanza dei khmer rossi si formò tra le montagne, nelle provincie più povere della Cambogia. I khmer rossi vollero cominciare il loro “esperimento” proprio dagli elementi più elementari: i contadini rimasti esclusi dalla modernità delle città, e dediti alla più primitiva agricoltura. Da essi, facilmente “educabili”, la dirigenza khmer potrà reclutare un esercito perfettamente fanatizzato: analfabeta, granitico nelle poche convinzioni infuse dagli “intellettuali” di Pol Pot. Comincerà da loro l’esperimento che vuole portare alla creazione di una nuova società. Il modello resta quello cinese, ma in realtà Saloth Sar vuole perfezionare l’operato del Grande Timoniere Mao Tse Tung.La cricca di Saloth Sar, alias Pol Pot, composta essenzialmente da intellettuali assetati di potere, non si farà problemi nel rieducare e arruolare nelle file khmer anche bambini, che diverranno tra i più spietati guerriglieri. I bambini, proprio per il fatto che non possedevano memoria, venivano visti come i costruttori perfetti del nuovo sistema. Ad essi veniva affidato un enorme potere: spesso essi avevano diritto di vita e di morte sui deportati e gli internati. Sulla base di un minimo sospetto, generato nella mente infantile di un ragazzino, un uomo poteva essere prelevato dai campi dove lavorava ed essere eliminato sul posto. Il 18 marzo del 1970 un colpo di stato organizzato dal maresciallo Lon Nol, protetto dagli Stati Uniti, ha il compito di rendere la Cambogia un’utile base in chiave anti-vietnamita. Il maresciallo Lon Nol è in pratica il rivale di Pol Pot, il suo corrispettivo fascistoide: come Pol Pot crede in una Cambogia nazionalista e xenofoba, come Pol Pot vede nella razza khmer la razza superiore dell’Indocina. Con il golpe si registra la fine della condizione di neutralità che il principe Shianouk aveva faticosamente costruito. La persecuzione della minoranza vietnamita e i logici interessi militari spingono il Vietnam del Nord ad invadere la Cambogia. Il paese diventa un terribile teatro di guerra: saccheggiato dai vietnamiti del nord e del sud, bombardato selvaggiamente dai B-52 americani, centinaia di villaggi khmer vengono annientati. Nel frattempo il principe Shianouk, rifugiato in Cina, fonda il Fronte unito nazionale del Kampuchea e forma il Governo reale di unità nazionale, ricorrendo a diversi esponenti khmer rossi.


E’ il passo definitivo verso i comunisti di Pol Pot, che vedrà la fusione (unica nella storia del comunismo internazionale) tra corona e comunismo. Mentre vietnamiti e cambogiani di Lon Nol si combattono, i khmer rossi si accontentano di creare sul territorio “isole” khmer dove potersi organizzare e fare propaganda tra i contadini. Con questi, data la loro natura conservatrice, evitano di definirsi comunisti. Il partito viene semplicemente denominato “Angkar”, l’Organizzazione. E’ in questi territori che si scatena il disegno mortale di Pol Pot, la sua utopia assassina. Nei villaggi i Khmer rossi devastano ogni regola sociale. I contadini vengono obbligati a vivere in una sorta di Comuni, che devono essere assolutamente autonome e isolate dal mondo. Un esperimento analogo venne ordinato da Mao in Cina con il “balzo in avanti” di triste memoria e portò ad una carestia di proporzioni inimmaginabili. All’interno delle Comuni, al posto del paradiso comunista si realizza un regime da incubo: l’Angkar arriva ovunque, controlla il movimento di ogni individuo, nella notte sequestra gli elementi considerati non assimilabili alla comunità e li elimina. Contemporaneamente segue un programma di pulizia etnica (procedendo all’eliminazione del ceppo vietnamita) e politica (uccidendo i comunisti cambogiani vicini al Vietnam). 


Dal 1973 al 1975 la gente di Cambogia è quindi stretta tra due realtà, il regime di Lon Nol, dove soffre la fame, o i villaggi dominati dall’Organizzazione khmer rossa, dove anche la minima libertà è inimmaginabile. Il 17 aprile 1975 i Khmer rossi entrano in Phnom Penh, sull’onda di una falsa promessa di riconciliazione nazionale. La capitale applaude l’arrivo dei “piccoli uomini neri”, non sapendo ancora cosa essi avessero realizzato nelle campagne, e ignari delle loro intenzioni. I soldati khmer rossi, di età giovanissima e rigorosamente inquadrati secondo la più rigida disciplina, eseguono gli ordini dell’Angkar alla lettera. Ha inizio così dalla capitale quel programma di genocidio in grande scala che coinvolgerà tutto il paese e porterà, in poco più di quattro anni, allo sterminio di un terzo della popolazione cambogiana, ben due milioni di esseri umani.I khmer rossi svuotano gli ospedali della capitale, i malati vengono sbattuti in strada, ai chirurghi vengono proibiti gli interventi. Gli stranieri occidentali vengono allontanati ed espulsi dal paese, molti giornalisti presenti sul posto scompaiono, quasi sicuramente assassinati. Tutta la popolazione cittadina della capitale viene obbligata ad un esodo dalle proporzioni bibliche. In poco tempo Phnom Penh diventa una città-fantasma. Oltre due milioni di abitanti vengono tradotti nelle campagne, devono abbandonare ogni loro proprietà, ogni denaro e ogni cibo. Molti di loro moriranno di inedia lungo il percorso. Durante l’esodo, i khmer si informano sull’estrazione sociale di ogni individuo, procedendo alla distruzione dei “gruppi sociali ostili”.


Ogni cittadino deve sbarazzarsi della propria carta d’identità, e riqualificarsi di fronte al nuovo potere, composto da soldati completamente analfabeti, che decide se eliminarlo o meno. Come nella Cina maoista della sanguinosa Rivoluzione Culturale, chi indossa un paio di occhiali viene ucciso perchè ritenuto uomo di studio.L’opera di sterminio dei khmer rossi segue un filo assolutamente logico e spietato. La popolazione cambogiana viene divisa in due categorie: il popolo antico e il popolo nuovo. Il primo è quello che dal 1970 al 1975 è vissuto sotto l’educazione delle Comuni e che ha fornito uomini al movimento di Pol Pot; il secondo è quello che per sua sfortuna ha vissuto nelle città sotto il dominio del regime avversario di Lon Nol, 4 milioni di persone che assurgono a simbolo della città.
La città è ciò che i khmer rossi vogliono annientare, è simbolo di corruzione, di sfruttamento della campagna, è centro di cultura (e la cultura è il male). Seguendo alla lettera la teoria di Marx secondo cui i complessi urbani creano il plusvalore a danno della campagna, gli “intellettuali” della cerchia di Pol Pot danno il via a una delle più terribili azioni criminali a memoria d’uomo. La Cambogia, serrando ermeticamente le frontiere, si esclude dal mondo e diventa un unico, grande campo di concentramento.
Quel che resta della società cambogiana viene intruppato nelle cooperative, che diventano il nucleo-base del paese. La cooperativa deve essere assolutamente autosufficiente, secondo un rigoroso principio autarchico. Unica attività è la produzione di riso.


I suoi abitanti sono divisi in tre gruppi: la prima forza, composta da uomini celibi e dai dodici anni in su; la seconda forza, uomini sposati e bambini sotto i dodici anni; la terza forza, vecchi e bimbi dai tre ai sei anni. Le tre forze devono lavorare fino a diciotto ore al giorno, cibandosi di non più di due palle di riso per persona. Benché l’ideologia dei khmer rossi fosse improntata all’esaltazione nazionalistica della Cambogia e della razza khmer, il comunismo che incarnava rappresentò il tradimento di ogni tradizione cambogiana. I khmer amavano richiamarsi all’era dorata del regno di Angkor, ma ogni loro azione contribuì a distruggere le vecchie tradizioni cambogiane, nonché il tessuto sociale del paese. All’interno delle cooperative l’Organizzazione di Pol Pot puntò alla distruzione del nucleo familiare.
Tutti i figli venivano allontanati, dall’età di sette anni, dalle proprie famiglie. Educati politicamente dall’Organizzazione, venivano trasformati in perfette spie e futuri soldati comunisti.


 L’Organizzazione era il loro vero genitore e il loro compito diveniva principalmente quello di smascherare il “nemico interno” con la delazione. Il “nemico interno” erano i pochi intellettuali sopravvissuti, gli studenti e i borghesi. Chi veniva scoperto a conoscere una lingua straniera veniva immediatamente passato per le armi. Tutto ciò che nei villaggi rappresentava la vecchia Cambogia venne soppresso, ogni tradizione artistica, artigianale, gastronomica. La Cambogia deve “ritornare alle origini”, ad un’era primitiva dove anche l’uso del denaro è sconosciuto. Ogni tradizione religiosa viene annientata. Tutti i membri del clero buddista vengono smascherati e uccisi sul posto, i templi e i luoghi di culto devastati. Molti bonzi vengono obbligati al lavoro manuale, cosa che il loro status proibiva, le preghiere vengono abolite. Anche la minoranza islamica viene perseguitata ed eliminata, le moschee sono distrutte e le loro scuole rase al suolo.
Per tutta la Cambogia fioriscono campi come quello di Tuol Seng, veri e propri centri di tortura e sterminio. Tuol Seng, una ex-scuola, diviene il mattatoio di decine di migliaia di persone. Nelle campagne più isolate, nei pressi di alcune paludi centinaia di migliaia di cadaveri vengono lasciati decomporre all’aperto. Diventeranno i famigerati “killing fields” - i campi di morte - enormi distese di ossa e teschi che si perdono a vista d’occhio. E mentre la “follia pauperista” si impossessava della Cambogia, mentre i cambogiani venivano internati in campagna, i dirigenti dei khmer rossi vivevano comodamente a Phnom Penh, nelle loro grandi case espropriate, con borghesissimi domestici, autisti, medici personali, adagiati in quelle piacevolezze occidentali che annunciavano di voler annientare. Nei tre anni 8 mesi e ventun giorni anni di potere khmer rosso, il Terrore raggiunge livelli sempre più alti, arrivando a coinvolgere - come spesso accade nei totalitarismi di ogni colore - gli stessi quadri dirigenti del partito unico. Molti dirigenti comunisti, considerati spie, vennero uccisi con le loro famiglie e i loro parenti “fino alla terza generazione”.

La Cambogia viene divisa in sei “cantoni” - Nord, Nord-Est, Est, Sud-Ovest, Nord-Ovest e Speciale, cioè il territorio di Phnom Penh - ognuna affidata ad un segretario responsabile. Questo segretario era il detentore di un potere assoluto - politico ed economico -,di vita e di morte sugli abitanti. Ai primi inevitabili fallimenti del programma economico, tra i segretari cominciarono a saltare le prime teste. Iniziò così - sotto la regia dell’Angkar di Pol Pot - una lotta interna basata sul motto del “divide et impera”. I militari di una zona invadevano e giustiziavano quelli di una zona adiacente.
Così nel 1976, i khmer della Zona speciale e dell’Est colpirono i “traditori” del Nord, e nel 1977 quelli del Sud-Ovest fecero lo stesso con i “traditori” del Nord-Ovest. Nel 1978 l’intera popolazione della zona Est viene annientata. Più di 100.000 persone in un colpo solo, che costituiscono il più tragico omicidio di massa della storia. La carneficina fu voluta da Pol Pot per il semplice motivo che il territorio era stato invaso dalle truppe vietnamite, e quindi tutti i suoi abitanti potevano essere divenuti dei “collaborazionisti”. Dopo questo fatto - e con il chiaro intento di denunciare i crimini cambogiani, stornando l’attenzione dai propri - il Vietnam decide di invadere definitivamente la Cambogia. E’ il 25 dicembre 1978, e Phnom Penh cadrà pochi giorni dopo, il 7 gennaio 1979. Nasce così la Repubblica popolare del Kampuchea, sotto il regime di Heng Samrin. Pol Pot e i suoi uomini fuggiranno nelle foreste, da dove riprenderanno la guerriglia. Un terzo del paese rimarrà sotto la loro influenza. Ovviamente, solo dopo la caduta di Pol Pot emerse la verità sui crimini dei khmer rossi. Tuttavia, anche dopo lo smascheramento del folle disegno dei khmer rossi, molti in Occidente vollero mantenere gli occhi e le orecchie chiusi.


I soliti ineffabili intellettuali, che avevano lodato le imprese di Pol Pot e vi si erano avvinghiati speranzosi come avevano fatto con Mao, non mancarono di sottolineare come un attacco a “piccoli uomini neri” giovasse alle forze imperialiste interessate alla regione, in primis gli americani. Allo stesso modo, la stampa internazionale, che si era lanciata contro l’intervento americano in Vietnam e in Cambogia, non poteva ammettere che i “liberatori” di quest’ultima fossero in realtà angeli sterminatori. E invece, i “boat people” - che preferivano morire nell’oceano su zattere improvvisate, piuttosto che vivere nel “democratico” Vietnam “liberato” dalla presenza americana - e i sopravvissuti al genocidio khmer rappresentavano la più eclatante smentita ai loro preconcetti formulati nelle comode redazioni occidentali.
Solo il conflitto con il Vietnam avrebbe dissolto la nebbia su questi crimini. Il terreno fertile in cui affondavano le radici della nuova guerra risaliva indietro nel tempo per secoli. Come già ricordato i vietnamiti avevano contribuito alla caduta dell’impero Khmer e la diversità razziale esistente tra le due popolazioni era considerata prima dell’appartenenza dei due stati all’area comunista. 

Firmati gli accordi con gli Stati Uniti, il Vietnam aveva in pratica abbandonato la Cambogia al suo destino. La faticosa lotta di Pol Pot per la vittoria aveva ammantato i Khmer Rossi di un alone di invincibilità che spinse il nuovo dittatore ad eccessi di megalomania. Seguendo una insana volontà espansionistica, arrivò ad attaccare in più riprese i confini vietnamiti fino a scatenare la reazione di Hanoi. Il giorno di Natale del 1978 150.000 soldati del riunificato Vietnam invasero la Cambogia conquistandola il soli 13 giorni. Braccato dall’esercito nemico, Pol Pot ritornò alla macchia per riorganizzare le sue schiere.La vittoria del Vietnam portò alla luce l’orrore delle fosse comuni. Nella mente visionaria di Pol Pot, indottrinato nella vecchia scuola del comunismo proletario della rivoluzione continua, la Cambogia sarebbe dovuto divenire un paese totalmente autosufficiente dal punto di vista economico e dal momento che l’unica vera risorsa che esisteva era l’agricoltura, era su di essa che si doveva fare affidamento. Il Vietnam che durante la guerra con gli Stati Uniti aveva avuto grandi aiuti dalla Cina, si era spostato su una posizione più filosovietica. La Repubblica Popolare Cinese, vedendo nell’allargamento del Vietnam un tentativo di accerchiamento da parte russa, intervenne in aiuto dei vecchi amici cambogiani, inviando una spedizione punitiva che nel febbraio e marzo del 1979 mise a ferro e fuoco la regione a Nord del paese.
L’azione cinese indebolì la resistenza vietnamita che pur detenendo il potere in Cambogia non ebbe mai il completo controllo sul territorio dove rimaneva molto attivi i Khmer Rossi. All’estero nel frattempo nacquero due movimenti per la liberazione della Kampuchea: il Fronte Nazionale per la Liberazione della Kampuchea (detti Khmer blu) di estrazione nazionalista e il Fronte Unito Nazionale per una Cambogia Indipendente, Neutrale, Pacifica e Cooperativa (Khmer Bianchi) capitanata da Sihanouk. Il sovrano dimostrava di avere mille risorse.Deposto per la seconda volta, nel 1976 era scampato all’esecuzione rifugiandosi nuovamente a Pechino. Già scottato dalla collaborazione con Pol Pot, Sihanouk avrebbe dovuto trarne degli insegnamenti. Invece come se nulla fosse accaduto nel 1982 accettava di presiedere un comitato comune che comprendesse tutte e tre le fazioni di resistenza. Nonostante la coalizione tra le forze ribelli, il Vietnam possedeva un apparato militare altamente efficiente che avrebbe annientato ogni resistenza se non fossero venute meno le risorse finanziarie. Uscito dalla rovinosa guerra di indipendenza con la Francia e poi da quella di riunificazione contro gli Stati Uniti, la sovvenzione di un esercito stabilito in pianta stabile in un paese straniero non rientrava nelle sue possibilità economiche. Il ritiro dell’appoggio sovietico nel 1988 costituì il pretesto per un ritiro che da tempo era nell’aria. Il governo fantoccio cambogiano si persuase alle trattative con le altre parti in causa che porterà ad un accordo per la cessazione delle ostilità nel 1991. L’ONU avrebbe garantito la permanenza della pace con 22.000 caschi blu fino allo svolgimento delle elezioni.Queste ultime si tennero tra il 23 e il 28 Maggio 1993 con la sorprendente vittoria del partito di Sihanouk sui comunisti. Varata la costituzione democratica e nominato l’ex re presidente il definitivo consolidamento del governo cambogiano sembrava cosa fatta. Al contrario, Sihanouk espulse i rappresentanti dei Khmer rossi dal governo, adduceo come pretesto il loro rifiuto di disarmarsi come previsto dall’accordo di Parigi. L’ennesimo ritorno nella clandestinità dei Khmer e le tendenze golpiste persino tra i figli dello stesso presidente non fanno presagire un avvenire troppo roseo per la florida Kampuchea.


Le primissime inchieste sul regime dei khmer rossi furono avviate nel 1974 dal Washington Post e dal New York Times, ma non trovarono la minima eco nel mondo della cosiddetta cultura. Tre anni dopo, un importante passo sulla strada della verità fu compiuto da François Ponchaud con il suo libro “Cambogia, Anno Zero”. Lo stesso anno il Congresso americano condusse la prima inchiesta ufficiale sui crimini dei khmer rossi. Nel 1978 vengono presentate le prove dei crimini di Pol Pot alla conferenza di Oslo. La Gran Bretagna cerca di portare la questione all’ONU, ma l’URSS si oppone impedendo un passo che sarebbe stato fondamentale per la scoperta della verità.
Solo quando il “democratico” Vietnam contribuirà a far scoprire il terrore cambogiano, allora anche gli zelanti sostenitori occidentali del regime vietnamita vorranno ammettere ciò che è palese. Durante i 45 mesi di dominio khmer sulla Cambogia due milioni di persone vennero assassinati o condotti alla morte. I khmer rossi eseguirono il loro genocidio secondo schemi razionali, divisero la popolazione in gruppi e sottogruppi identificabili, marchiarono gli elementi indesiderabili, distrussero la coscienza individuale e procedettero ad un eliminazione il più possibile efficace ed economica. Nelle sedute di rieducazione politica all’interno delle cooperative, i khmer ricorrevano a termini come purificazione, dominio, selezione naturale, trattamento speciale. Nulla di tutto questo può essere definito casuale. Una Commissione di documentazione sulla Cambogia opera dal 1982 per porre sotto la più chiara luce possibile i crimini del regime di Pol Pot.

Un’impressionante mole di documenti, prove fotografiche, testimonianze dei pochi sopravvissuti inchioda Pol Pot, i khmer rossi e lo Stato del Kampuchea democratico alle sue responsabilità. L’ONU potrebbe facilmente formulare la richiesta di traduzione dei principali responsabili del genocidio cambogiano, dai membri di partito ai funzionari dei campi di rieducazione e sterminio, per poterli processare davanti a un tribunale internazionale. Ciò non avviene. L’ONU non ha mai ammesso l’ipotesi che i khmer rossi siano i responsabili di un genocidio. Ancora nel 1982 il loro seggio all’ONU è conservato grazie al voto della maggioranza dei membri dell’Assemblea generale.
Oggi i khmer rossi controllano ancora quasi il 20 % del territorio cambogiano. I “santuari” khmer - così come vengono chiamati - restano delle isole immuni dalle leggi internazionali. Nel 1993 si sono svolte le prime elezioni che si possono definire democratiche, e i khmer sono stati marginalizzati. Oggi, arrestando il proprio leader Pol Pot cercano di immolarlo sull’altare della propria sopravvivenza politica, pensando di potersi riciclare come democratici, vittime degli ordini del famigerato Fratello Numero Uno.

 La presenza dei khmer rossi nelle foreste cambogiane rimane comunque un’ombra distesa sul futuro di un paese. E un’inquietante minaccia al possibile ritorno di un orrido passato: per evitare il tragico rischi di questo ritorno, alla coscienza dell’Occidente e dei suoi potenti mass-media è affidato oggi il compito ineludibile di narrare in tutta la sua crudezza ciò che fu il genocidio cambogiano. Concedendogli la medesima notorietà di altri genocidi (come quello ebraico) di cui purtroppo è costellata la storia dell’umanità. 


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