lunedì 7 aprile 2014

Pesach 2014






Le occasioni di buonumore, ultimamente vanno diradandosi come lampadine sparse nella nebbia che avvolge le nostre contrade. Tanto che sicuramente mi si rimprovererà per l'umore novembrino che aleggia, in piena primavera, sulle prime righe di questa paginetta. Ringrazio Michele Serra per questa sua citazione che mi segue ormai da anni. Cercherò quindi di recuperare terreno segnalando a chi volesse correggere eventuali errori che non ha obbligo di leggere quanto segue e che comunque ciò che scrivo è sempre meglio di ciò che si trova in Wikipedia. Se poi chi scrive è ebreo da generazioni.. ecco allora fatemi il piacere di andare a rompere i c..i su altre pagine e di non voler salire in cattedra a tutti costi, tanto non vi si ascolta!
Giudicare il prossimo non è mai facile. Ma ancora più difficile dev'essere giudicare sé stessi, specie in un ambiente dove ogni azione assume grandezza dostoevskiana ma gli attori una piccineria da commediola.
Ed ora a noi chaver:
La pasqua ebraica quest'anno ha inizio il 15 Aprile e si concluderà il 22. Il 14 di Nissan veniva offerto il sacrificio pasquale al Tempio. Solo la sera, che per la tradizione ebraica è già il 15 di Nissan, inizia la festa vera e propria con una cerimonia speciale chiamata seder. In Israele Pesach dura sette giorni, fuori di Israele otto.Ciò è dovuto al fatto che, anticamente, nella diaspora, non era facile far pervenire tempestivamente l’esatta data delle ricorrenze; quindi, per evitare errori, le si faceva durare un giorno in più. L’uso è stato mantenuto, nonostante oggi non manchi la possibilità di comunicare tempestivamente la data di inizio della festa, per sottolineare la differenza tra coloro che vivono in Israele e coloro che ne vivono fuori.
Il calendario ebraico che è basato sui cicli della luna, non ci permette di fissare per le feste una data precisa nel calendario solare.L'anno è composto di 12 o 13 mesi di 29 o 30 giorni ciascuno.
oggi 7 aprile 2014 è il 7 di Nissan del 5774! saremo strani?! ecco come si converte la data

La festa ha inizio al tramonto del 14 di Nissan, che corrisponde circa al mese di aprile.
Pesach, il momento in cui il popolo dei figli di Israele diviene il popolo libero, rappresenta per gli ebrei il simbolo della libertà Pesach deriva del verbo ebraico Pasoah che significa “passare oltre”, e si riferisce all’episodio terrificante in cui l’angelo della morte, durante la notte della decima piaga, si fermò nelle case degli egiziani colpendone tutti i primogeniti, ma pasach, “passò oltre”, le case degli ebrei sugli stipiti delle quali, in segno di riconoscimento, era stato spruzzato del sangue dell’agnello sacrificale.
Verso il VI secolo prima dell’Era Cristiana, in tutto il mondo mediorientale si diffuse una nuova lingua, l’aramaico. Molti fra gli stessi ebrei adottarono l’aramaico come lingua corrente, e in aramaico il termine Pesach è tradotto con Pascha. L’attinenza fra le due parole, Pascha e Pasqua, è evidente. (grazie agli amici della CEI)
Durante la Pasqua le regole da osservarsi sono molteplici.
Per rivivere nel tempo il momento fatidico della loro liberazione dalla schiavitù e della loro nascita a popolo libero, gli ebrei mangiano tuttora ogni anno a Pesach, per sette giorni (fuori di Israele otto), il pane azzimo. E’ facile comprendere come l’ordine di eliminare dalla casa ogni tipo di sostanza lievitata imponga alla donna il dovere di compiere un’accuratissima pulizia della casa. Un impegno che peraltro le donne eseguono con entusiasmo e con estrema spolverando, lavando ogni recondito angolo dei mobili, dei ripostigli, e di tutta la casa, per prepararla a introdurvi il pane azzimo, cioè il pane non lievitato che in ebraico si chiama matzah.La ragione per cui a Pesach gli ebrei mangiano pane azzimo è da rintracciarsi nel fatto che uscirono così frettolosamente dall’Egitto che non ebbero il tempo per fare lievitare il pane.


Il Seder
La prima sera di Pesach (le prime dure sere fuori di Israele) le famiglie ebraiche si riuniscono intorno a un tavolo apparecchiato in modo particolare, per celebrare il Seder, una cerimonia durante la quale di legge la Haggadah, il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto, arricchito di midrashim (parabole) e commenti dei Maestri, e seguito da una cena che si conclude con canti corali di inni e melodie che si tramandano di generazione in generazione, di luogo in luogo,haggadah
Il Seder è una cerimonia di alto valore pedagogico sotto molteplici aspetti. A ogni commensale, per sottolineare il senso della libertà appena acquisito, è permesso di sedere a tavola senza osservare le strette regole dell’etichetta: si possono appoggiare i gomiti sul tavolo, o sdraiarsi comodamente sulle seggiole, cose che i commensali adulti in genere, per vecchia abitudine, evitano di fare, ma che rende estremamente felici i bambini che assaporano a loro modo il primo senso di libertà.
Sul tavolo apparecchiato viene posto in cesto contenente tre pane azzimi (matzah), in ricordo del pane non lievitato mangiato nel deserto, una zampa d’agnello (pesach), in ricordo del zevach pesach, il sacrificio pasquale compiuto dal popolo che si accingeva a uscire dalla schiavitù, e dell’erba amara (maror), diversa a seconda delle tradizioni e della provenienza di chi celebra il Seder, in ricordo dell’amarezza patita dagli ebrei in schiavitù.

Oltre a questi tre simboli di Pesach (pesach, matzah, maror), nel cesto vi è un uovo sodo, il charoseth, un impasto preparato anch’esso secondo ricette che variano a seconda delle tradizioni dei vari luoghi di provenienza, e che simboleggi la malta che gli ebrei schiavi erano costretti a preparare in Egitto per fabbricare i mattoni con cui avrebbero edificato la città del Faraone. Per il Seder però la malta si trasforma in un dolce impasto di frutti: datteri, noci, mandorle e altro per sottolineare la fine della schiavitù. Vi è poi del sedano (carpas), che deve essere intinto in acqua e sale, o in acqua e aceto: probabilmente una specie di aperitivo in vista della cena.
Sul tavolo viene posto, oltre al bicchiere destinato al Kiddush, alla santificazione della festa attraverso il vino e il pane, un altrobicchiere per il profeta Elia bicchiere d’argento pieno di vino destinato al profeta Elia. La tradizione vuole infatti che il profeta, durante la prima sera di Pesach, si aggiri fra le case degli ebrei per portare i suoi voti augurali alle famiglie che celebrano il Seder, e ognuno spera di far parte dei privilegiati che riceveranno la sua visita.
Val la pena soffermarsi un momento sul significato dell’uovo sodo. Per l’ebraismo esso ha un valore tutto particolare. L’uovo è infatti il primo cibo che si offre a coloro che sono in lutto per la perdita di un parente stretto, in quanto è il simbolo della vita che si appresta a nascere, in opposizione alla morte. Perciò nel momento in cui il nostro animo è in preda alla disperazione e ci pare di non poter trovare né conforto né consolazione a una perdita irrimediabile, esso ci insegna che la vita che vive in noi è un dono che Dio ci ha concesso, e che in questo dono dobbiamo trovare la forza di continuare la nostra opera.Inoltre l’uovo non ha spigoli, perciò non ha né un punto di inizio né un punto di fine. Così la sua rotondità, proprio nel momento in cui pare che con la morte sia tutto finito, ci ricorda che la vita è un ciclo che, come l’uovo, non ha né inizio né fine: chi dai propri cari ha ricevuto la vita e gli insegnamenti, chi lascia dietro di sé il dolore dei figli ai quali ha trasmesso la vita e gli insegnamenti, continua a vivere attraverso di loro.
Ed è questo il modo umano di conquistare l’eternità.
Il segno del lutto che noi aggiungiamo al festoso cesto del Seder, e che per tradizione viene consumato da tutti i primogeniti maschi (ma se anche altri ospiti vorranno associarsi, potranno farlo) è un triste ricordo degli innocenti figli primogeniti degli egiziani, vittime della cieca ostinazione del Faraone. Proprio per questa ragione è il primogenito ebreo che, per dimostrare il proprio dolore per la morte dei fratelli egiziani, usa mangiare l’uovo sodo.
Per la medesima ragione i maschi primogeniti, il giorno precedente il Pesach, fanno digiuno.
Durante il Seder si devono quattro bicchieri di vino in memoria delle quattro espressioni usate da Dio quanto preannuncia a Mosè la prossima liberazione del popolo: “li sottrarrò” dalle sofferenze dell’Egitto “; “li farò uscire” dal luogo di schiavitù; “li redimerò e li prenderò come mio popolo”. Esse rappresentano i vari stadi della libertà appena riconquistata che vanno elevandosi a sempre maggior livello fino a raggiungere la santità di “li prenderò come mio popolo” (Es 6,7)
Il Seder finisce con una lunga serie di canti corali tradizionali composti da molte strofe, la cui caratteristica precipua è quella della ripetizione, alla fine di ogni strofa, di una frase: quella che tutti i commensali per tradizione conoscono meglio e quindi cantano a gran voce con grande entusiasmo.
In ultimo viene intonato il canto l’anno prossimo tutti a Gerusalemme, ricostruita, e viene distribuito l’afikomen, preparato nella parte iniziale del Seder, che simboleggia il sacrificio pasquale e che deve essere consumato quando si è già sazi

Regole per Pesach (cit.dal Rabbinato) 

Quest’anno la festa di Pesach cade Lunedì sera e ciò faciliterà tutte le operazioni per la kasherizzazione delle nostre case, che comunque deve assolutamente essere già in atto.
La bedikat chametz (ricerca del chametz nei luoghi nascosti), deve essere fatta Domenica sera 17 Aprile dopo la tefillà di ‘Arvit e comunque da quando è buio.
Essa consiste nel recarsi a lume di candela, alla ricerca in ogni angolo nascosto della nostra abitazione, delle briciole di pane più piccole.
Per quanto riguarda quelle cose che non è facile disfarsene, tipo: liquori, scatole di cioccolatini, scatole di biscotti, pacchi interi di pasta, come anche stoviglie, piatti, tegami, pentole che vengono usati nei giorni comuni, è possibile venderle ad un non ebreo.
Questa operazione si chiama “mekhirat chametz” (vendita del chametz)  ed è possibile farla anche tramite l’Ufficio Rabbinico che si premunirà di fare avere delle deleghe di vendita al Rabbino, il quale a sua volta, raccolte tutte le deleghe di vendita, penserà a vendere il tutto ad una persona non ebrea.
Se si è sicuri che non vi è in casa, nemmeno la particella più piccola di chametz, si preparano dieci pezzettini di pane (per comodità è meglio avvolgerli in un pezzetto di carta), che si nascondono in dieci punti diversi della casa. (Fare molta attenzione a ricordarsi dove si nascondono, per non lasciarli lì durante Pesach).
Fatto questo, si cercano insieme ai bambini, per insegnare loro, anche facendoli divertire, una fondamentale mizvà di questa festa.
Prima di iniziare la ricerca, si recita la benedizione
“Barukh attà A’ Elohenu melekh ha ‘olam asher kiddeshanu be mizvotav vezzivvanu ‘al biur chametz”
(Benedetto sii Tu o Signore nostro D-o che ci ha santificato con le Sue mizvot e ci ha comandato di annullare ogni cibo lievitato).
Una volta raccolti i dieci pezzettini di pane, li si mettono da parte (verranno bruciati l’indomani mattina) e si recita la formula “Col chamirà”.
Questa formula, viene generalmente recitata in Aramaico, che è il simbolo della lingua straniera, conosciuta dal popolo in Diaspora; si può comunque recitare sia in ebraico che in qualsiasi altra lingua si comprenda.
“Col Chamirà de iccà birshutì delà chamitè udlà bi’artè le hevè battil ve chashiv che ‘afrà de ar’à”
(ogni tipo di pane o sostanza lievitata che si trova in mio possesso, che non sia stata vista e che non sia stata tolta, sia annullata e considerata come polvere della terra).
L’indomani mattina, Lunedì 18 Aprile, vigilia di Pesach è TA’ANIT BEKHOROT – Digiuno dei primogeniti. Inizia alle ore 5,30 e termina alle ore 21,02.
Alle ore 7,30 si svolgerà la tefillà di Shachrit (con talled e tefillin) e dopo ci sarà una lezione di Talmud chiamata sijum massakhtà (completamento di un trattato talmudico), che permetterà a tutti i primogeniti che vi assisteranno di interrompere il digiuno, essendo un evento gioioso, che culmina con un piccolo kiddush.
E’ permesso mangiare chametz fino alle ore 10,15.
Entro le ore 11,15 si fa il bijur chametz (bruciatura del chametz) durante la quale è uso bruciare anche l’afikomen dell’anno precedente ed il lulav che si è usato nella festa dello scorso Succot.
Mentre il chametz sta bruciando si recita la formula “col chamirà” con la quale si annulla ogni specie di chametz, considerandolo polvere.
La formula da recitare Aramaico, come quella recitata la sera precedente ed è la seguente:
“Col chamirà de iccà birshutì, de chamitè udlà chamitè, de viartè udlà biartè le hevè battil ve chashiv che ‘afrà de ar’à”
(ogni tipo di pane o di sostanza lievitata che sia stata vista e che non sia stata vista, che sia stata bruciata e che non sia stata bruciata, sia annullata e considerata come polvere della terra).
Da questo momento è assolutamente proibito mangiare qualsiasi tipo di chametz, come è proibito durante il pranzo mangiare mazzot, fino al momento della Benedizione durante il seder.

ATTENZIONE, MANGIARE CHAMETZ DURANTE GLI OTTO GIORNI DELLA FESTA DI PESACH  E’ CONSIDERATA UNA DELLE PIU’ GRAVI COLPE CHE L’EBREO POSSA COMMETTERE TANTO DA ESSERE PUNITA CON LA PENA DEL KARET (PENA CAPITALE INFLITTA DAL SIGNORE), CHE SECONDO L’OPINIONE DEI NOSTRI MAESTRI CONSISTE NEL RECIDERE QUALSIASI DISCENDENZA DELLA NOSTRA PERSONA E LA PERDITA DI IDENTITA’ DELLA NOSTRA ANIMA NEL MONDO A VENIRE.
E’ UN CONCETTO ESTREMAMENTE FORTE CHE I MAESTRI DEL TALMUD RACCOMANDANO DI PRENDERE LE DISTANZE DA ESSA!

L’accensione dei lumi festivi per lunedì sera e alle ore 19,45 mentre l’inizio della tefillà è alle ore 19,30.
Martedì mattina 19 Aprile la preghiera di shachrit è alle ore 9,00
Martedì sera minchà e ‘arvit ore 19,30 (lettura dei primi due capitoli di Shir ha Shirim)
Mercoledì mattina 20 Aprile shachrit ore 9,00
L’uscita di mo’ed di Mercoledì sera è alle ore 20,50

Durante la festa, a differenza dello shabbat è permesso cucinare per il giorno stesso, accendendo il fuoco da uno già precedentemente acceso prima che entri la festa!!!

Gli orari degli ultimi giorni di mo’ed sarà il seguente:
Domenica sera 24 Aprile accensione dei lumi festivi ore 19,50 mentre l’inizio della tefillà è alle ore 19,30 (lettura dello Shir ha Shirim)
Lunedì mattina 25 Aprile la preghiera di shachrit è alle ore 9,00
Lunedì sera minchà e ‘arvit ore 19,30 (lettura dello Shir ha Shirim)
Martedì mattina 26 Aprile (ultimo giorno) shachrit ore 9,00 al termine vi sarà la Benedizione dei Bambini
Martedì sera minchà ore 20,15 ‘arvit ore 20,45
Termine della festa e permesso di mangiare pane ore 21,05

Di Rav Alberto Sermoneta

“…Ve higgadtà le vinkhà bajom ha u lemor, ba’avur zè ‘asà A’ li betzetì mi Mitzraim”
“..e narrerai a tuo figlio in quel giorno dicendo- in grazia di ciò il Signore mi ha fatto uscire dall’Egitto”.

Questo imperativo che noi Ebrei ripetiamo ogni anno durante la festa di Pesach, ci ha dato la forza di andare avanti per millenni, soprattutto perché l’insegnamento della storia e la trasmissione delle nostre tradizioni, alle generazioni future, non mancasse mai di esistere.

NON C’ E’ LIBERTA’ SE NON C’ E’ STORIA! NON C’E’ POPOLO SE NON CI SONO TRADIZIONI !

Le nostre millenarie tradizioni, osservate e rispettate di anno in anno, di famiglia in famiglia, hanno sempre salvaguardato il nostro popolo da ogni tentativo di annientamento, garantendo anche se in piccolissima parte, anche se con molte sofferenze, la sua eternità.

La festa di Pesach che tra qualche giorno celebreremo in ogni angolo della terra, dove c’è anche un solo ebreo, deve essere il baluardo a cui ogni membro del nostro popolo deve ispirarsi, per ricordare la nostra storia e le sofferenze, per raggiungere il fine a cui ogni essere umano aspira per la sua vita e per quella della sua discendenza: la liberta!

 Le prime due sere di Pesach ci sediamo in tavola per celebrare il Seder insieme alle nostre famiglie, ed i nostri figli più piccoli iniziano la lettura della Haggadà, formulando le fatidiche parole del “ma nishtannà” “in che cosa differisce questa sera dalle altre?.”  Sono a queste quattro domande, di cui conosciamo già a memoria le risposte, da quando eravamo bambini  a nostra volta e recitavamo il “ma nishtannà” ogni anno che,  immancabilmente iniziamo a rispondere con la lettura ed il racconto della schiavitù egizia e della miracolosa uscita e liberazione dei nostri padri.
E’ un rituale che si ripete da oltre tremilacinquecento anni e, nonostante ciò, ogni anno ci affascina e ci commuove come se fosse la prima volta.
Questo è il miracolo del nostro popolo: la volontà di ripetere, fino allo stremo delle forze la storia della nostra gente, la storia delle nostre sofferenze ai nostri figli, ai nostri nipoti, speranzosi che ciò che fu un tempo, non possa mai più avvenire.
E invece si è ripetuto: non una, non due, non dieci volte, ma cento, mille, diecimila; ogni volta però abbiamo avuto la forza di sperare che il domani fosse migliore di oggi, ma soprattutto la forza di crederci e farlo credere alle nostre discendenze, perché se così non fosse stato, oggi dopo tremilacinquecento anni di sofferenze, avremmo gettato la spugna e saremmo diventati un popolo come gli altri.

E invece no!

Ancora oggi, subito dopo la festa di Purim, le nostre donne iniziano una estenuante pulizia della casa, in modo “frenetico ed esagerato” che le porta allo stremo delle forze; ma nonostante ciò, ogni anno dopo Purim, si ricomincia con le “pulizie di Pesach”.
Ogni anno ci affanniamo con l’acquisto dei prodotti Kasher le Pesach, che incidono economicamente in modo forte sui nostri bilanci famigliari, ma guai a rinunciare all’acquisto di un solo prodotto, seppur superfluo, kasher le pesach.                                                                                  E di anno in anno sempre le stesse obiezioni, le stesse discussioni, ma niente cambia o ha cambiato nei millenni il nostro ostinato atteggiamento ad osservare quelle regole che ci fanno essere diversi da tutti gli altri popoli della terra.
Tutto ciò è dipeso dall’insegnamento che abbiamo ricevuto dalle nostre famiglie, un insegnamento forte e non solo teorico, ma soprattutto all’insegna della praticità e dell’osservanza di un qualcosa che forse di religioso ha ben poco, ma sicuramente ha di un retaggio lontano e che nonostante tutto ci portiamo nel nostro sangue dalla notte dei tempi.

I nostri antenati ci hanno lasciato un grosso onere: cioè quello di imparare da loro quale debba  essere il comportamento di un Ebreo; non ha importanza se buono o cattivo:  è fondamentale che il nostro comportamento sia quello di un EBREO.

Non c’è destino che possa cambiare le nostre sorti; e se noi, D-o non voglia, dovessimo dimenticarcelo, sarebbero sicuramente gli altri, in malo modo a farcelo ricordare.

Essere ebrei, ma soprattutto genitori ebrei, significa avere la responsabilità di far comprendere ai nostri figli, quello che i nostri genitori hanno fatto comprendere a noi e quello che i nostri nonni (in condizioni assai peggiori delle nostre, sotto persecuzioni razziali) hanno insegnato ai nostri genitori.

Un messaggio permettetemi di inviarlo a chi oggi ha la fortuna di essere genitore: date ai vostri figli una sana educazione ebraica, facendogli VIVERE UNA VITA EBRAICA in modo pratico e non in modo teorico.

L’azione prevale per il nostro popolo su qualsiasi altra forma di insegnamento!

Non si può mettere a posto la coscienza dicendo che si mandano a scuola di ebraico i propri figli e quindi aver fatto il proprio dovere.
Bisogna coltivare in casa, attraverso l’insegnamento dell’osservanza delle mizvot basilari, come la shemirat shabbat, la kasherut, il trascorrere uno shabbat intorno ad un tavolo, tutti insieme, anche raccontando le proprie  storie di famiglia e dando loro una dimostrazione di ebraicità.

Lo shabbat non deve essere il primo giorno di week end per andare due o tre giorni al mare o in montagna, a fare la gara di sci o di nuoto!
Lo shabbat è il nostro “giorno sacro di riposo” che va vissuto in modo totalmente diverso da come i goim festeggiano la Domenica!
“ba’avur zè ‘asà A’ li betzetì mi Mizraim” “in grazia di questo il Signore mi ha fatto uscire dall’Egitto”.

Questo versetto del libro dell’Esodo che è alla base della festa di Pesach, ma soprattutto del coinvolgimento dei giovani alla celebrazione della festa, ci vuole insegnare che l’azione ha prevalenza su ogni altra cosa.
Quel questo, non è altri che la parte materiale della festa, la parte del Seder che rappresenta i cibi che noi nonostante i tremilacinquecento anni che ci separano da quell’evento, non abbiamo mai smesso di mangiare, raccontandone il loro significato.
I bimbi vanno quindi seguiti nella loro crescita e nella ricerca dell’ identità ebraica, dando loro la possibilità di chiedere sulla base del nostro comportamento diverso.
Ma nishtanà- vuol dire:
perché noi siamo diversi come popolo dagli altri?
Perché noi abbiamo delle tradizioni diverse da osservare rispetto agli altri popoli?
Perché gli altri bambini si mascherano a carnevale e fanno festa e noi non possiamo farlo?
Perché quel giorno in cui tutti i bimbi si divertono e si mascherano, rappresenta un giorno di sciagure per il nostro popolo?
Perché tutti i miei compagni vanno ad ogni tipo di festa e possono mangiar tutto ed io no?

Queste sono le domande a cui dobbiamo rispondere e questo è l’insegnamento che dobbiamo ai nostri figli, facendogli assaporare la nostra vita, le nostre tradizioni, i nostri luoghi;
facendoli partecipare alle nostre feste, facendogli conoscere altri bimbi di altre comunità ebraiche diverse dalla nostra e magari più grandi,, per rapportarsi ad altre realtà, mandandoli ai campeggi ebraici, portandoli in Tempio ed insegnando loro  che quello è un luogo sacro ed importante per noi ebrei e non è il luogo dove si può fare di tutto, facendogli vivere quel momento della giornata come un dovere, ma  è anche il luogo dove incontrare i loro amici e dividere con loro un momento importante.

Diamo ai nostri figli la possibilità di chiederci e diamogli il diritto di conoscere la nostra storia e la nostra vita.
Soltanto così avremo la certezza, che quando non ci saremo più noi, essi potranno a loro volta trasmettere ai propri figli queste nostre meravigliose tradizioni, che hanno fatto del nostro popolo, un popolo speciale- ‘AM SEGULLA’.


A tutti voi vada il mio più caloroso augurio di una Pesach kasher e gioiosa, nel segno della libertà e della redensione di tutto il nostro popolo.
Amen
Mo’adim le simchà

(grazie alla Comunità Ebraica per le precise e attente info)